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Intervista a SAUL SAGUATTI su DARTEMA.com

VHS+ al MAMbo. Intervista a Saul Saguatti

Pubblicato il 26/11/2018 su DARTEMA
https://dartema.com/2018/11/26/vhs-%EF%BB%BFal-mambo-intervista-a-saul-saguatti/

Durante i primi giorni di apertura di VHS+ ho avuto l’occasione di conoscere Saul Saguatti, – ideatore del progetto espositivo assieme a Lucio Apolito – e di farmi descrivere da lui e dalla curatrice, Silvia Grandi, le caratteristiche della produzione dei ‘Digital Immigrants’, ovvero di quei gruppi che hanno traghettato, con le loro produzioni audiovisive sperimentali a tecnica mista, l’estetica mixmediale verso l’era digitale. Questo il resoconto della nostra conversazione. Buona Lettura!

Saul, cosa intendete proporre agli spettatori con VHS+?
Vogliamo raccontare una generazione. 

Cosa noti di diverso tra ora ed allora nel mondo delle produzione mixmediale?
Allora eravamo talmente forti da creare noi il sistema, una realtà alternativa completamente indipendente; godevamo di un’autonomia produttiva. Ogni gruppo aveva un’identificazione quasi televisiva, con l’utilizzo di marchi simili ai loghi della tv. Questa dimensione collettiva è la parte che manca ora: oggi è venuta meno la sensazione di appartenenza a un gruppo, non ci sono più spazi di aggregazione liberi, ha ‘stravinto’ la carriera personale; si è più deboli e più scoraggiati. Se non sei inserito nel binario giusto, sei finito: o segui il flusso o non sei nessuno. Questo ti toglie la volontà e la forza di credere nelle possibilità del tuo lavoro.

Ci descriveresti questo ‘sistema alternativo’ di fine anni ‘90?
Tutti i gruppi che vedi qui (Opificio Ciclope, Fluid Video Crew, Ogino Knauss, Otolab e Sun Wu Kung) lavoravano in parallelo: le comunicazioni tra il montatore, l’animatore, il regista e lo scrittore erano orizzontali, non verticali. Rientravano, pertanto, contaminazioni diverse, il che ha portato poi a una rottura grammaticale, dei linguaggi e dello schema compositivo. Sono stati eliminati i tempi lunghi grazie all’influenza della televisione, dei linguaggi dell’arte e dell’animazione, con risultati sia installativi che performativi. 

Che valore attribuivate alla macchina?
La macchina aveva dei perché e andavano indagati, aveva una sua fascinazione. Inoltre, prima, c’era anche un coinvolgimento fisico con gli strumenti che utilizzavi. Adesso, invece, è già tutto svelato. Le macchine non parlano più o parlano di ‘pulizia’. Si torna a dare voce a una concettualità filmica. A metà degli anni ’90 erano quelli che ora per le apparecchiature digitali chiamiamo ‘glitch’ – ovvero le difformità, le imperfezioni, gli errori delle macchine – a comunicare, il linguaggio derivava dall’uso non convenzionale delle apparecchiature. 

Due ulteriori parole sull’estetica della produzione mixmediale degli anni 1995-2000?
Era poco concettuale e molto tecnica. Il montaggio, la rottura della linearità, … era una progettazione che diventava ‘di stomaco’, pur mantenendo un senso. Si seguiva la velocità della macchina e un tipo di narrazione diversa, che non era più quella del monoschermo cinematografico. Era importante avere molteplici punti di vista. Chiedevamo allo spettatore di essere parte del processo, perché quando si devono leggere tante cose, le devi assorbire in un modo differente da quello analogico, filolineare. 
Come qui, al Mambo, dove la visione è volutamente multipla, caotica e superiore alle capacità di lettura. Entri nella Project Room e non puoi vedere tutto e dargli immediatamente un senso; sei immerso in un flusso di immagini e suoni. L’idea è che non ci ragioni su, ma lo assorbi. Il senso si delinea successivamente grazie ad una sorta di metabolizzazione, più che per un’analisi lucida. 
Tra il 1995 e il 2000 entravano prepotentemente in scena il montaggio, l’animazione e la grafica, con una forza espressiva pittorica; poi si è inserito anche il teatro. Il video stesso è divenuto spettacolo col vjing.

Come superavate i limiti economici?
Modificando il linguaggio. I montaggi e le riprese venivano fatti in maniera analogica, a bassi formati, bassa fedeltà e con tecnologie giocattolo. Inoltre se ne faceva un uso pratico al servizio del mercato televisivo, musicale, pubblicitario.

Vuoi aggiungere qualche precisazione a ciò che ci siamo detti?
Sì, ci terrei a dire che quanto rappresentato in VHS+ è solo l’inizio e non la fine di un capitolo. Tutte le cose hanno figliato in un certo modo, quasi tutti gli appartenenti ai gruppi qui rappresentati continuano, chi più chi meno, a lavorare nel settore.

Maria Chiara Wang​​​​​​​
Intervista a SAUL SAGUATTI su DARTEMA.com
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Intervista a SAUL SAGUATTI su DARTEMA.com

Intervista a SAUL SAGUATTI in occasione della mostra VHJS+ al MAMbo

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