Le immagini scorrono e hanno una loro autonomia, una loro indipendenza, una loro storia, delle loro correnti sotterranee, dei loro flussi e riflussi.
 
Le immagini non appartengono a nessuno, siamo noi che incrociamo e attraversiamo la loro corrente.
Missione dell’artista è aspettare ed evocare una immagine, creare uno spazio, un varco ed essere soglia perché questo avvenga.
 
Proprio così Salvatore Palazzo, artista visivo, grafic designer, art director pubblicitario, con una profonda passione e conoscenza dell’apparato iconografico della cultura pop contemporanea, procede per montaggi di immagini, immagini che raramente sono figure intere, che di preferenza corrispondono a dettagli, scorci, facce di poliedri, barlumi percepiti in condizioni svantaggiate di visibilità.
 
Frammenti di atlanti anatomici, particolari entomologici, frames di film della cultura alternativa dark, icone pop con interventi grafici in colori primari costituiscono il materiale di costruzione di immagini perturbanti ma attrattive, che in un doppio movimento “isterico” attraggono e repellono simultaneamente, causando, come nei dipinti barocchi, un vagare per gli elementi dell’immagine dove lo sguardo non si abbandona ad una semplice assimilazione, ma viene sempre impegnato in termini di memoria, congettura, intelligenza testuale.
 
Un uso volontario dello stile pop che rimanda alla più facile metabolizzazione
dell’immagine usata come grimaldello per scardinare la sensibilità dello “spettatore” ed inserire la perturbazione emotiva, nodo autobiografico dell’ autore.
 
L’utilizzo delle immagini di Gummo, film cult di Harmony Korine del 1997, che, come le immagini di Salvatore, racconta in modo frammentato e non lineare le storie dei giovani abitanti di Xenia, rimanda ad una visione del mondo che assume il disastro della periferia americana come paradigma  di estensione della realtà attuale.
 
“Le immagini hanno bisogno per essere veramente vive, di un soggetto che, assumendole, si unisca a loro. Ma in questo incontro è insito un rischio mortale: che le immagini si cristallizzano e si trasformino in spettri di cui gli uomini diventano schiavi e da cui sempre di nuovo bisogna liberarli”
Giorgio Agamben in Ninfe – 2007
 
Carlo Orsini, Architetto e Live Art Editor (Rolling Stone Magazine)
GUMMO 97
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