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Corriere della Sera (Futura Newsletter Illustration)

Finalmente sono riuscita a farmi il caffè

Sara Uslenghi

Il giorno prima di firmare il rogito per la nuova casa ho comprato una macchina per fare il caffé americano. Non avevo ancora deciso il colore delle pareti, la disposizione delle stanze, i quadri da appendere. Non avevo neanche le chiavi. Ma quella macchinetta con il bricco trasparente e il filtro la sognavo da quando l'idea di cambiare casa si era fatta più concreta. Anzi, posso dire che tutta la cucina, poi, è nata intorno a quella macchinetta. Il tavolo ad isola, le sedie alte. Mi visualizzavo nei nuovi spazi, muovendomi leggera, la stanza piena di luce, le piante, i profumi dal forno.

Sarei stata più felice, vestita con quegli abiti colorati che sono anni che giuro di comprare e poi non lo faccio mai, sarei stata una di quelle donne che si alzano la mattina prestissimo, fanno ginnastica, sistemano la casa e nel silenzio, prima che si sveglino tutti, si preparano una tazza di caffè americano.

Non è andata così. L'ho lasciata nella sua scatola. All'inizio perché non prendesse polvere nel trasloco. Poi perché faceva caldo. Poi perché non me lo ricordo più, il perché. Ho smesso di fare molte cose, questo sì me lo ricordo. In un angolo della mia mente rimaneva sempre, quell'idea della tazza di caffè. E quel senso di fallimento per non riuscire a farla diventare realtà.

É una cosa semplice, no? «The impossible task», lo chiamano. Il compito impossibile. Ti succede quando sei triste. Molto triste.

Per alcuni il compito impossibile è uscire a fare la spesa, per me è stata prepararmi una tazza di caffè americano. La macchina è rimasta lì. Ogni tanto la tiravo fuori. La spostavo, la rimettevo nella credenza. Non ero degna di stare lì ad ascoltare il liquido che scende piano, senza fretta, diverso dal gorgoglìo quasi aggressivo della moka che ti richiama all'ordine. E poi il termine inglese, «brew a pot of coffee». Solo a leggerlo nei libri mi dà da sempre un senso di calma.

Breeeeew. Suona bene vero? Come un piccolo ruscello che scorre lento.

Piano piano. Mi sono presa il mio tempo. Tanto. Forse troppo. Non che importi veramente, ora. Un giorno di settembre mi sono svegliata e ho sentito che ero presente. Mani, piedi, occhi, capelli, ciglia. C'era tutto. Non ho avuto bisogno di seguire con le mani i muri di casa per trovare la nitidezza, i profili delle cose sono tornati definiti. L'ho pensata subito, la mia macchina del caffè americano. Ora posso. Le ho trovato un posto nella stanza dove ho ricominciato a scrivere dopo mesi. Dai, macchina, facciamo che questo è un nuovo inizio per entrambe. Ti metto anche una pianta vicino, ti piace? Ho scelto una tazza coloratissima. Nessuno la può toccare. I gesti sono semplicissimi e sono sempre gli stessi, ma in quei gesti trovo lucidità e conforto. Ce l'ho fatta. Anche se non mi sveglio prestissimo, anche se non faccio ginnastica. Brocca, acqua, riempi, versi, filtro, cucchiaio, caffé, schiacci un bottone e parte quel suono.

Breeeeew. Senti che meraviglia.
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An illustration for Italian newspaper "Corriere della Sera". Accompanies a short sorty written by Sara Uslenghi.

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